Acqua

“Acqua” è stato selezionato per essere pubblicato in un’antologia di racconti edita da Nottetempo.

Nemmeno questo aiuta.
Nemmeno farsi baciare il collo.
Nemmeno un paio di mani calde tra le cosce fresche.
Nemmeno il dolore di un ago che ti si infila nella pelle e ti tatua e ti disegna per sempre l’epidermide.
Nemmeno il brivido di una corsa in moto, coi chilometri che corrono e il vento in faccia, sentire palpabile e possibile schiantarsi contro un muro o un albero.
Nemmeno il vino che percorre l’esofago e ti riscalda lo stomaco, ti abbassa le palpebre e ti annienta la voglia di vivere.
Niente. Niente di questo aiuta.
E forse la soluzione c’è.
L’unica soluzione: tornare.
Tornare lì da dove sono venuta e lasciarmi tutto, tutto quanto, alle spalle. Abbandonare questa terra arsa e secca e malridotta e tornare a sciogliermi, a liberarmi. Il mare ce l’ho già qua davanti e come mezzo per tornare è uno dei migliori. Giusto un ultimo attimo per guardare questa bella spiaggia deserta, fatta d’alba e di sabbia. E di acqua piatta che accarezza e abbraccia oggi, ma ruggirà e sgriderà domani.
Spogliarsi è il primo passo verso il respiro: via ogni abito, ogni pensiero. Ogni sangue e ogni linfa. La sabbia è morbida e asciutta, fine e leggera a contatto con i miei piedi nudi; assaporo quest’ultimo attimo e mi tengo stretta la sabbia ai piedi bianchi.
Danzo.
Ci ballo sopra questa sabbia fatta d’alghe asciutte e conchiglie rotte. Mi sembra già d’essere in volo, verso un’altra terra. M’avvicino all’acqua, e questo è già il secondo passo. Verso l’ignoto buio, la mia casa.
Tutto è fermo e mi fermo anch’io. “Se tocco l’acqua, vivo. Vivrò”, penso. E sono sempre più vicina al mare. Le onde nascono e poi muoiono, per tornare indietro, dove rinascono e ritornano a morire. Le guardo: tornerò a morire anch’io.
L’acqua delicata mi sfiora un piede e un tremito mi percorre la schiena e il collo. Sento già d’essere vicina e così lontana. Avverto già le mutazioni nel mio essere, ma è ancora tutto un unico brivido.
E allora cammino ancora e, nuda, mi faccio bagnare. Dal mare freddo, dal futuro, dalla morte, dalla vita. L’acqua mi bagna fino all’inguine ormai e so che tra un po’ gambe non ne avrò più, inghiottite dall’acqua e trasformate in ciò che l’acqua vuole che esse siano. Le mie gambe perdono peso e per poco non cado, ma trovo l’equilibrio. Abbasso lo sguardo: non ho più gambe. Si sono unite, saldate e i miei piedi, spariti anche quelli. Si sono uniti i talloni, l’uno all’altro e si sono fatti più leggeri e allungati. Trasparenti e molli.
Cambiamenti.
Mi tuffo. E sto bene.
Sento che anche il mio viso cambia, tira. La bocca più sottile e i denti più appuntiti, gli occhi si fanno vitrei. Il mio busto, le mie braccia splendono. Non ho più le dita, spunta una patina verdastra che le unisce e le ammorbidisce. Torno in superficie e guardo la spiaggia ormai lontana. Mi lascio trasportare dalla corrente e sento che questo è giusto. È giusto così.
Giù in acqua, in fondo ancora una volta. I miei polmoni si fanno leggeri, perché perdono responsabilità. Si fanno inutili. Apro gli occhi e ci vedo benissimo, è quello il mio mondo.
Mi confondo con i pesci, con l’acqua e con la morte. Qui che l’acqua è nera nera e gli occhi sono luminosi, le mani sono superflue e le gambe assenti. Giro su me stessa, agito l’acqua e muovo i capelli, morbidi e scuri. Continuo a nuotare, a morire e nascere. Continuo a trasformarmi fino a raggiungere la perfezione, fino non sentire il peso dell’acqua e a sentirla aria. Fino a che sono quella che sono e non quella che volevo essere. Fino a che capisco che gli uomini sono stupidi, che ne vogliono tante di cose ma quello che riescono a sopportare è ben poco. Fino a che sono io e nessuno mi riconoscerebbe mai. Tornerò da mia madre e dalla famiglia che ho lasciato. Rivivrò senza che nessuno mi dica mai cosa fare e seguendo solo me e i miei desideri. Senza amore, senza pane, senza giochi, senza vita. Tornerò a sbagliare e rimediare. A sentirmi io senza desiderarmi diversa. Senza magia e senza fuochi. Senza ridere e senza piangere. Ripeterò le danze e le musiche, le gioie e i dolori. I venti, le maree e le navi. I relitti e gli scheletri. Ingoierò e sputerò gli incendi, che ora dentro me non possono più vivere. Impasterò la mia essenza, rivendicherò il mio profumo, rivedrò il sapore. Confonderò la morte con l’acqua. Vivrò per l’acqua. Vivrò per la vita. Saprò gestirmi sola, acqua, morte e vita.
Mi lascerò vivere da morta, sarò rinata.
Sirena.

Ispirata a
“Il gabbiano” – Negramaro