Cosa si può fare in vent’anni? Cosa si può fare a vent’anni? Che cosa si può dire? Di cosa si può essere sicuri? Di niente. Un* dice: voglio fare il cantante! Voglio fare il lavapiatti! Voglio fare la velina! Voglio fare l’imprenditrice! Voglio fare il barbone! Ma la verità è che nessuno può sapere niente. Bisogna essere molto fortunati per conoscere la propria strada, per averla scoperta, sciabola alla mano per tagliare gli arbusti che coprivano il sentiero, come un* perfett* esploratore/trice.
Partendo dal presupposto che non siamo in una società salutare, nel corso della crescita non lo sappiamo, non ce ne possiamo accorgere. Essa è tossica, è artificiale, si seguono le mode, si seguono le tendenze, tutti appresso a tutti, greggi senza pastori di pecore cieche, stimolati dall’aria fritta, resi sterili dalle tecnologie, col cervello chiuso al mondo ma bene aperto agli stereotipi, adoranti del Dio denaro, sensibili alle apparenze, assolutamente sprovvisti di personalità.
Questo nella maggior parte dei casi, purtroppo (o per fortuna). Il resto del grafico è abitato da pecore nere, o per rimanere coerenti con la metafora di sopra, pecore che a un tratto si sono domandate chi abbia spento la luce, perché ho una benda sugli occhi?, e togliendosela vede. Vede tutto. O meglio: vede che il resto del gruppo va in un posto che lei sa di non gradire. “Ma allora perché andare?”. E quella pecora finirà per restare in casa e si comincerà a conoscere, si porrà domande, partendo dalla più grande, la più importante: “Ma io, in che posto sarei andat* se tutti gli altri ci fossero andati?” E da lì la ricerca, personale, interna, immateriale, silenziosa.
E poi non c’è niente peggiore di pecore che sono effettivamente senza benda sugli occhi, ma vanno ugualmente insieme al gregge, per paura di rimanere da soli. Perché solo chi non si conosce ha paura di restare solo con se stesso. Perché se noti che quello che fai non ti convince di un minimo, tutto crolla, e allora per cosa si è vissuto?
A vent’anni non s’è ancora proprio capito cosa, chi, dove, quando, perché. I vent’anni sono l’età in cui è tardi per non avere consapevolezza, per non essere consci di sé e del mondo, del bene e del male, ma è presto per avere rimorsi. Quindi perché non provare?! “Io non so cosa voglio fare da grande, ma la mia ragazza l’anno prossimo farà architettura, mi ricordo che alle medie avevo 10 in tecnica, proverò anch’io architettura, male che vada mi ritiro”. “No architettura non faceva per me, ma un mio ex collega ha messo su una band, prenderò lezioni di pianoforte e suonerò la tastiera nel gruppo con lui, male che vada mi cacciano”. “No non è che mi hanno cacciato è solo che non mi piace il rock, ma ho visto che in trattoria cercano personale, lascerò il mio curriculum, male che vada non mi richiamano”. E intanto passano gli anni, e finora hai solo tentato.
Se si vivesse in una società che fa conoscere ai ragazzi e alle ragazze quanto bella è la cultura, l’essere, il fidarsi di se stessi forse –FORSE- a vent’anni si potrebbe essere un po’ più consci di sé e più sicuri e più decisi. E spero che le generazioni future, mio cugino che tra cinque anni ne avrà venti, sappiano tutti, vedano bene e capiscano quanto schifo e pattume ci siano nelle discriminazioni, nel sessismo, nell’ignoranza, nella violenza, nell’odio gratuito e sappiano vivere per bene, sempre alla ricerca, sempre affamati di sapere, col cuore e la mente sempre aperti.
Al mio cugino sopracitato,
che spero non allunghi più.
A me,
che vent’anni li ho compiuti proprio adesso.