The fig tree (by Sylvia Plath)

I saw my life branching out before me
like the green fig tree in the story.
From the tip of every branch,
like a fat purple fig,
a wonderful future beckoned and winked.

One fig was a husband
and a happy home and children,
and another fig was a famous poet
and another fig was a brilliant professor,
and another fig was Ee Gee, the amazing editor,
and another fig was Europe
and Africa and South America,
and another fig was Constantin and Socrates
and Attila and a pack of other lovers with
queer names and offbeat professions,
and another fig was an Olympic lady crew champion,
and beyond and above these figs
were many more figs I couldn’t quite make out.

I saw myself sitting in the crotch of this fig tree,
starving to death, just because I couldn’t
make up my mind which of the figs I would choose.
I wanted each and every one of them,
but choosing one meant losing all the rest,
and, as I sat there, unable to decide,
the figs began to wrinkle and go black,
and, one by one, they plopped to the ground at my feet.

“Battiti” è OUT!

Tutte le strade hanno portato a questo punto.15268075_10208801784175192_7319262817767566067_n
È uscito il mio primo libro, Battiti, edito da La Caravella Editrice.
Una raccolta di 15 racconti scritti dell’arco di quasi tre anni.
Vi aspetta in tutte le librerie e online su lacaravellaeditrice.it.

In copertina: Francesco Cammarata

Quarta di copertina: “L’inquietudine di vivere, la smania di un’esistenza inconcludente, traboccante di follie. Questo il palco per i protagonisti: uomini e donne all’apparenza residenti nell’ombra, riescono ad emergere grazie al desiderio di sincerità. La durezza di questi racconti, per alcuni tratti acri e amari, rivela lineamenti di una contemporaneità troppo spesso sommersa”.

La cultura è una cosa per esseri pensanti.

SONY DSCLa cultura è un processo, è un filo doppio. È un’onda che va e viene, poi va e torna ancora. La cultura è un albero, con radici ben piantate in terra, solide e disparate, ha un tronco, un corpo rivestito di corteccia: è sicura, difesa, inopinabile, razionale. E poi, tesi verso il cielo e l’infinito, essa ha rami, numerosi, simili eppure così diversi l’uno dall’altro. Quest’albero non è bidimensionale ma è a tuttotondo, e ogni ramo sta in un posto per un motivo e non per caso: nel lato più vicino al sole i rami avranno forse più fiori o più frutti e ogni ramo esiste perché esiste un tronco e una radice. La cultura è fatta di ramificazioni di pensieri, è fatta di correnti che si estendono e si sovrappongono, è fatta di flussi d’acqua che scorre su alvei diversi e da estuari diversi si riversa nell’immenso oceano della conoscenza personale.
Se ponete dighe sui letti dei fiumi per bloccare questo corso d’acqua, se tagliate questo grande albero e in giardino tenete solo un tronco basso, con radici morte e dimenticate allora rimarrete con quello che vi hanno insegnato a scuola elementare, rimarrete con le nozioni che vi hanno trasmesso i vostri genitori e in cui loro hanno creduto, ma che non è detto che siano le vostre, rimarrete terre in cui hanno piantato fiori, ma i quali fiori non sono mai spuntati e stagni, in cui è raccolta acqua stantia e puzzolente, fermandosi troppo prima del mare. Rimarrete omini con le teste chinate verso il basso e non saprete mai cosa vuol dire assaggiare l’infinito.

Da tempo non aggiorno il blog.

Da tempo non aggiorno il blog, è vero, e per questo chiedo venia. Ma c’è stato prima l’estate, poi un mese passato tutto a viaggiare, praticamente, e adesso sono tornata all’università e sto preparando un esame (Carolina e Cornelio Nepote bestfriends for life); in più sentivo che quello che avevo già da pubblicare non fosse abbastanza, volevo trovare qualcosa di nuovo e originale. Ottobre è stato il mese dei viaggi perché ho passato una settimana in Portogallo, poi due giorni tra Lucca e Firenze per via della presentazione di un libro di antologie di racconti di cui facevo parte come autrice con il mio racconto Acqua, poi son tornata a casa, in Sicilia, per un’altra decina di giorni. Quindi sì, un mese di aereo e automobili a noleggio e lingue straniere. Adesso appunto sto preparando questo esame e sono un po’ (tanto) presa, perché deve andare bene.

Ho pensato in ogni caso ad una nuova rubrica che tra un po’ comincerò, non so tra quanto esattamente, forse aspetterò di dare l’esame, forse no. Comunque. La rubrica non so ancora come la chiamerò, ma sarà incentrata su quelle che io chiamo ‘le mie donne’, cioè descriverò tutte le donne del mondo dello spettacolo che per me sono importanti, che siano cantanti, attrici, scrittrici, pittrici, italiane, straniere, più giovani, di mezza età, più adulte, vive, morte.. Insomma, tutto un tripudio di talento e indipendenza al femminile. Sarà certamente un valido modo per farvi conoscere me, poiché saranno tutte donne che hanno un forte impatto nel mio modo di vivere e di pensare, e anche per mettermi in discussione con la scrittura e per mettermi ancora una volta in contatto con loro, che è una cosa che mi innalza e mi riempie sempre. Perciò tenete d’occhio il blog, the best is yet to come*.

Alla prossima,
Carolina.

 

*vuol dire “il meglio deve ancore venire”, mamma.

 

 

A vent’anni.

Cosa si può fare in vent’anni? Cosa si può fare a vent’anni? Che cosa si può dire? Di cosa si può essere sicuri? Di niente. Un* dice: voglio fare il cantante! Voglio fare il lavapiatti! Voglio fare la velina! Voglio fare l’imprenditrice! Voglio fare il barbone! Ma la verità è che nessuno può sapere niente. Bisogna essere molto fortunati per conoscere la propria strada, per averla scoperta, sciabola alla mano per tagliare gli arbusti che coprivano il sentiero, come un* perfett* esploratore/trice.
Partendo dal presupposto che non siamo in una società salutare, nel corso della crescita non lo sappiamo, non ce ne possiamo accorgere. Essa è tossica, è artificiale, si seguono le mode, si seguono le tendenze, tutti appresso a tutti, greggi senza pastori di pecore cieche, stimolati dall’aria fritta, resi sterili dalle tecnologie, col cervello chiuso al mondo ma bene aperto agli stereotipi, adoranti del Dio denaro, sensibili alle apparenze, assolutamente sprovvisti di personalità.
Questo nella maggior parte dei casi, purtroppo (o per fortuna). Il resto del grafico è abitato da pecore nere, o per rimanere coerenti con la metafora di sopra, pecore che a un tratto si sono domandate chi abbia spento la luce, perché ho una benda sugli occhi?, e togliendosela vede. Vede tutto. O meglio: vede che il resto del gruppo va in un posto che lei sa di non gradire. “Ma allora perché andare?”. E quella pecora finirà per restare in casa e si comincerà a conoscere, si porrà domande, partendo dalla più grande, la più importante: “Ma io, in che posto sarei andat* se tutti gli altri ci fossero andati?” E da lì la ricerca, personale, interna, immateriale, silenziosa.
E poi non c’è niente peggiore di pecore che sono effettivamente senza benda sugli occhi, ma vanno ugualmente insieme al gregge, per paura di rimanere da soli. Perché solo chi non si conosce ha paura di restare solo con se stesso. Perché se noti che quello che fai non ti convince di un minimo, tutto crolla, e allora per cosa si è vissuto?
A vent’anni non s’è ancora proprio capito cosa, chi, dove, quando, perché. I vent’anni sono l’età in cui è tardi per non avere consapevolezza, per non essere consci di sé e del mondo, del bene e del male, ma è presto per avere rimorsi. Quindi perché non provare?! “Io non so cosa voglio fare da grande, ma la mia ragazza l’anno prossimo farà architettura, mi ricordo che alle medie avevo 10 in tecnica, proverò anch’io architettura, male che vada mi ritiro”. “No architettura non faceva per me, ma un mio ex collega ha messo su una band, prenderò lezioni di pianoforte e suonerò la tastiera nel gruppo con lui, male che vada mi cacciano”. “No non è che mi hanno cacciato è solo che non mi piace il rock, ma ho visto che in trattoria cercano personale, lascerò il mio curriculum, male che vada non mi richiamano”. E intanto passano gli anni, e finora hai solo tentato.
Se si vivesse in una società che fa conoscere ai ragazzi e alle ragazze quanto bella è la cultura, l’essere, il fidarsi di se stessi forse –FORSE- a vent’anni si potrebbe essere un po’ più consci di sé e più sicuri e più decisi. E spero che le generazioni future, mio cugino che tra cinque anni ne avrà venti, sappiano tutti, vedano bene e capiscano quanto schifo e pattume ci siano nelle discriminazioni, nel sessismo, nell’ignoranza, nella violenza, nell’odio gratuito e sappiano vivere per bene, sempre alla ricerca, sempre affamati di sapere, col cuore e la mente sempre aperti.

 

Al mio cugino sopracitato,
che spero non allunghi più.
A me,
che vent’anni li ho compiuti proprio adesso.